Paolo Frattari
QUALCOSA SUL PASSATO.
Nasce a Cerveteri, città etrusca, nel febbraio del 1963.
A 16 anni inizia a scolpire il legno, autodidatta per necessità ma anche per scelta.
La prima personale è a Roma nel 1989, seguono altre mostre in vari posti, dalla macelleria di Dario Cecchini nel Chianti, all’Auditorium di Renzo Piano a Roma.
Qualche premio, qualche opera pubblica, qualcuno che ha scritto di lui.
A 47 anni smette di scolpire, ha una famiglia da costruire, scarsa fiducia nell’arte, ma soprattutto un rapido mutare delle cose, tante cose.
A 53 anni riprende a scolpire, dopo aver riempito sei anni con pensieri, design, gioielli, e con l’attività di redattore su una rivista di settore.
Le nuove forme ripartono con nuove possibilità.
«Creature d'Arte bella…»
Che le opere di Paolo Frattari siano creature d'arte bella, in cui, come rileva Kant, si identifica poi la vera Arte, lo conferma lo stupore che l'ammirazione delle stesse suscita.
Ma richiesto di esprimere un motivato parere, rilevo, anzitutto, che se si vuol procedere ad una analisi formale di tali opere, non si può fare a meno di un pur ovvio rinvio alla scultura classica, anzi agli "Xoana", di cui condividono la materia, il legno, che da sempre ha in se impresso un carattere sacrale. Ma gli "Xoana", in quanto rappresentazione di divinità, mutano l'immobilità dallo stesso concetto aristotelico del Motore Immobile, là ove, invece, le opere del Frattari vibrano di vita, della vita che appartiene solamente agli uomini, in quanto tensione di spirito, ovvero di mente e di cuore.
E allora, è ancora agevole altro rinvio, sempre nell'ambito della classicità, e cioè ai "Kouro" espressione di bellezza possente e commovente, nel fremito vitale, che esala il dinamismo nell'armonia della forma.
Potremmo, a tal punto, fermarci proprio sul rapporto materia-forma e muovendo dalla evocata classicità serena dell'arte ellenica, attraversando e vivendo l'inquietudine dell'ellenismo, approdare al nostro rinascimento, con, anche qui, un obbligato rinvio a quel Michelangelo, la cui arte – come hanno distintamente, ma concordemente osservato Salami Argan e Garin – ripete l'atto divino della creazione.
E, forse, si spiega così come la produzione estetica del Frattari possa aver indotto qualche critico a circoscriverla in ambito manieristico, ovvero alla maniera dei classici da Fidia a Lisippo, ma, anche, alla maniera di Donatello ed ancor più di Michelangelo.
Senonchè, il manierismo, vecchio e nuovo, non solo si identifica, come ha osservato Bloom, nella tendenza normalizzante di una produzione che risente l'angoscia dell'influenza, ma è, soprattutto, ricerca del nuovo, in cui l'artista cerca di rappresentare se stesso in un perenne conflitto tra regolarità classica e libertà personale, fino al capriccio o, addirittura, per dirla con Dubois, fino alla schizofrenia.
Ma nell'opera di Frattari non è dato riscontrare alcuna ambizione di superare il maestro, chè, anzi,egli, più che citare, evoca con semplicità, umile e cosciente, grazie ad una interpretazione, che giunge all'immedesimazione. Ma la lettura di quest'opera credo induca ad andare oltre: Frattari non si limita a regalarci armonia, lavorando una materia, il legno, che nelle sue venature e nei suoi nodi, più d'altra vive e riflette la natura stessa del corpo umano ed investendo tale materia di una forma, che alla stesa infonde anima che vibra, nella euritmia ellirica della parola creativa, giacché lo stupore, protagonista di questo vedere, sgorga dall'ammirazione di altri due fatti caratterizzanti, anzi peculiari:da un canto, la stessa forma, che nella sua tensione avvolge la materia in una spirale di ansia metafisica e , dall'altro, la materia che si interrompe per dare spazio alla "non materia", in un rapporto che ben trascende il pur interessante gioco tra pieno e vuoto, poiché qui il vuoto è sorta di "pneuma", proprio come lo intende Diogene, ossia, come anima e soffio.
Ed allora, se da una parte siffatta "energheia" induce a vedere l'opera come attraversata più che da un divenire eracliteo, da un passaggio continuo da potenza ad atto, alla maniera aristotelica, dall'altra, l'armonia della forma ed in particolare la "claritas" e la "debita proportio" assicurano alla stessa il segno mirabile della platonica Bellezza. E se è così, Frattari si pone, contro la sclerotizzazione del linguaggio, sulla strada di una nuova forma di comunicazione, che approda ad Heidegger. Nella "Origine dell'opera d'arte" il filosofo rileva che a materialità, appunto, dell'opera d'arte è tale che non contraddice l'esser anche qualcosaltro e il dire qualcosaltro. D'altra parte, già Platone aveva affermato che il valore consiste nella visibilità dell'invisibile, anche se per essere colto necessita di capacità di metafora.
Francesco Sisinni
Docente universitario e direttore generale per i Beni Culturali e Ambientali